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- Il 'ghost work' è essenziale per l'ia generativa, ma invisibile.
- Addestratori in Kenya pagati tra 1,32 e 2 dollari all'ora.
- 0,001 dollaro per azione: pagamenti minimi per i lavoratori.
- OpenAI paga i suoi addestratori circa 15 dollari l'ora.
- Mancanza di tutele rende i lavoratori vulnerabili allo sfruttamento.
L’ombra dietro l’innovazione: Il lavoro fantasma nell’era dell’ia generativa
L’avvento dell’intelligenza artificiale generativa, con modelli come GPT-4 di OpenAI, ha segnato un’era di trasformazione tecnologica, aprendo orizzonti inesplorati nella creazione di contenuti e nell’interazione uomo-macchina. Tuttavia, dietro la brillantezza di questa innovazione si cela una realtà meno luminosa, un’area grigia popolata dal “ghost work“, un esercito silente di lavoratori che, nell’ombra, alimentano l’addestramento di queste sofisticate intelligenze. Questo fenomeno, spesso trascurato nel dibattito pubblico, merita un’analisi approfondita per comprendere le implicazioni etiche e sociali che ne derivano.
Il “ghost work“, o lavoro fantasma, si manifesta come un insieme di attività essenziali per il funzionamento dell’ia, ma svolte in condizioni di precariato e scarsa visibilità. Questi lavoratori, operando come freelance o tramite contratti a breve termine, si occupano di compiti cruciali come l’etichettatura dei dati, la moderazione dei contenuti e la valutazione della qualità dei modelli di ia. L’etichettatura dei dati, ad esempio, consiste nell’identificare e classificare elementi all’interno di immagini, testi e altri tipi di dati, fornendo alle ia le informazioni necessarie per apprendere e operare correttamente. La moderazione dei contenuti, d’altra parte, implica la rimozione di materiale dannoso o inappropriato, garantendo che le ia non siano esposte a informazioni distorte o pericolose. Infine, la valutazione della qualità dei modelli di ia permette di misurare l’accuratezza e l’efficacia delle prestazioni dell’ia, identificando eventuali aree di miglioramento.
Dietro a ogni interazione fluida con un chatbot, dietro ogni immagine generata con sorprendente realismo, si cela il lavoro di questi “ghost workers“, spesso invisibili agli occhi del pubblico e scarsamente riconosciuti per il loro contributo. Senza il loro impegno, l’ia generativa non sarebbe in grado di raggiungere il livello di sofisticazione che la caratterizza oggi. Questo solleva interrogativi fondamentali sulla responsabilità delle aziende tecnologiche e sulla necessità di garantire condizioni di lavoro dignitose per tutti coloro che contribuiscono allo sviluppo dell’ia.
Il lavoro fantasma si configura, quindi, come un elemento imprescindibile nell’ecosistema dell’ia generativa, un anello di congiunzione tra l’innovazione tecnologica e le implicazioni etiche e sociali che ne derivano. Comprendere a fondo questa realtà è fondamentale per costruire un futuro in cui l’ia sia uno strumento al servizio dell’umanità, e non un motore di sfruttamento e disuguaglianza.
La catena di subappalto e la dispersione della responsabilità
OpenAI, come molte altre aziende leader nel settore dell’intelligenza artificiale, adotta un modello di business basato sull’esternalizzazione di determinate attività, affidandosi a una complessa rete di subappaltatori per la gestione del “ghost work“. Questa strategia consente a OpenAI di scalare rapidamente le proprie operazioni e di concentrarsi sullo sviluppo di algoritmi e modelli di ia all’avanguardia. Tuttavia, il rovescio della medaglia è una diffusa dispersione della responsabilità, che rende difficile tracciare e monitorare le condizioni di lavoro dei “lavoratori fantasma“.
I subappaltatori, a loro volta, spesso si affidano a piattaforme di crowdsourcing o ad agenzie di reclutamento per trovare lavoratori disposti a svolgere compiti di etichettatura, moderazione e valutazione. Questo crea una catena di intermediari che rende opaca la filiera del lavoro, rendendo difficile individuare i responsabili diretti dello sfruttamento e delle violazioni dei diritti dei lavoratori. Le aziende tecnologiche, pur beneficiando del lavoro di questi “ghost workers“, tendono a deresponsabilizzarsi, adducendo la complessità della catena di subappalto e la difficoltà di controllare le pratiche dei propri fornitori.
Questo modello di esternalizzazione si estende spesso a paesi in via di sviluppo, come quelli in Asia, Africa e America Latina, dove la manodopera è più economica e le normative sul lavoro sono meno stringenti. In questi contesti, il “ghost work” viene svolto in condizioni di precariato estremo, con salari irrisori e scarsa tutela dei diritti dei lavoratori. La mancanza di trasparenza e la dispersione della responsabilità favoriscono lo sfruttamento e l’abuso, creando un circolo vizioso di povertà e disuguaglianza.
La catena di subappalto, quindi, si configura come un meccanismo che permette alle aziende tecnologiche di massimizzare i propri profitti a scapito dei diritti dei lavoratori, creando una zona grigia in cui la responsabilità è diluita e lo sfruttamento è facilitato. È necessario un cambio di paradigma, che imponga alle aziende di assumersi la piena responsabilità per le condizioni di lavoro di tutti coloro che contribuiscono allo sviluppo dell’ia, indipendentemente dalla loro posizione nella catena di subappalto.

Testimonianze e condizioni di lavoro: la voce dei lavoratori fantasma
Le testimonianze dei “lavoratori fantasma” offrono uno spaccato crudo e realistico delle condizioni di lavoro precarie e dei bassi salari che caratterizzano questo settore. Molti lavoratori riferiscono di guadagnare pochi dollari all’ora per compiti ripetitivi e mentalmente impegnativi, come la moderazione di contenuti violenti o espliciti. Alcune ricerche hanno rivelato casi estremi di lavoratori pagati anche solo 0,001 dollaro per ogni azione compiuta.
Un’inchiesta del Time ha documentato le condizioni di lavoro degli addestratori di OpenAI in Kenya, impiegati tramite la Sama di San Francisco. Questi lavoratori guadagnavano tra 1,32 e 2 dollari all’ora, una cifra insufficiente per garantire una vita dignitosa. Uno dei lavoratori ha raccontato di aver sofferto di disturbi ossessivi dopo aver letto la descrizione di un uomo che faceva sesso con un cane davanti a un bambino, evidenziando l’impatto psicologico negativo di questo tipo di lavoro.
Alexej Savreux, un addestratore di ChatGPT, ha espresso con chiarezza l’importanza del lavoro dei “ghost workers“, affermando: “Puoi progettare tutte le reti neurali che vuoi, puoi coinvolgere tutti i ricercatori che vuoi ma senza etichettatori non hai ChatGPT. Non hai niente”. Nonostante questo, OpenAI sembra pagare i suoi “addestratori” circa 15 dollari l’ora senza offrire garanzie, secondo un’inchiesta di Forbes.
La natura a contratto di questi lavori implica che i lavoratori non hanno diritto a ferie pagate, assicurazione sanitaria o altri benefici tipici dei dipendenti a tempo pieno. Questa mancanza di tutele sociali li rende particolarmente vulnerabili allo sfruttamento e all’abuso. Le testimonianze dei “lavoratori fantasma” rivelano una realtà fatta di precariato, bassi salari e stress psicologico, una realtà che contrasta fortemente con l’immagine di progresso e innovazione che le aziende tecnologiche cercano di proiettare.
È fondamentale dare voce a questi lavoratori, ascoltare le loro storie e comprendere le loro esigenze. Solo così sarà possibile costruire un futuro in cui l’ia sia uno strumento di progresso per tutti, e non un motore di sfruttamento per pochi.
Verso un’ia più etica: responsabilità e soluzioni concrete
Lo sfruttamento dei “lavoratori fantasma” solleva interrogativi etici cruciali sull’industria dell’ia, mettendo in discussione la sostenibilità e la responsabilità sociale di questo settore in rapida espansione. Mentre le aziende come OpenAI beneficiano enormemente del lavoro di questi lavoratori, spesso non si assumono la piena responsabilità per le loro condizioni di lavoro.
Teresa Numerico, professoressa di logica e filosofia della scienza all’università Roma Tre, ha sottolineato come l’ia abbia “incorporato il lavoro umano in modo tale da averlo reso invisibile. Questo produce maggiore potenziale di sfruttamento”. È necessario un cambio di mentalità, che riconosca il valore del lavoro umano e che imponga alle aziende di assumersi la piena responsabilità per le condizioni di lavoro di tutti coloro che contribuiscono allo sviluppo dell’ia.
Per affrontare questo problema, è necessario un approccio multidimensionale che coinvolga aziende, governi e società civile. Alcune possibili soluzioni includono:
* Maggiore trasparenza sulle catene di subappalto, per permettere di tracciare e monitorare le condizioni di lavoro dei “lavoratori fantasma“.
* Standard minimi per le condizioni di lavoro dei “lavoratori fantasma“, inclusi salari minimi, tutele sociali e accesso a servizi di supporto psicologico.
* Meccanismi di controllo e responsabilità più efficaci, con la collaborazione di sindacati e associazioni di categoria, per garantire il rispetto dei diritti dei lavoratori.
* Promozione di modelli di business che valorizzino il lavoro umano nell’addestramento delle ia, magari attraverso la creazione di cooperative di lavoratori.
* La direttiva europea sulle piattaforme rappresenta un primo passo nella giusta direzione, ma è necessario un impegno maggiore a livello globale per affrontare questo problema.
* Supporto alla creazione di sindacati tra i lavoratori dell’ia, per dare loro una voce e un potere contrattuale maggiore.
La costruzione di un’ia più etica e responsabile è una sfida complessa, ma necessaria per garantire che questa tecnologia sia uno strumento di progresso per tutti, e non un motore di sfruttamento e disuguaglianza. È fondamentale che le aziende, i governi e la società civile si impegnino a lavorare insieme per creare un futuro in cui il lavoro umano sia valorizzato e rispettato, anche nell’era dell’intelligenza artificiale.
Un imperativo etico: il futuro dell’ia e il valore del lavoro umano
L’indagine sulle dinamiche del “ghost work” e il suo legame con lo sviluppo dell’intelligenza artificiale generativa rivela una complessa rete di interdipendenze, sfruttamento e responsabilità eluse. La crescente consapevolezza di queste problematiche solleva un imperativo etico: come possiamo garantire che il progresso tecnologico non avvenga a spese della dignità umana e dei diritti dei lavoratori? La risposta a questa domanda risiede in un approccio olistico che promuova la trasparenza, la responsabilità e la valorizzazione del lavoro umano.
L’intelligenza artificiale, per quanto sofisticata, non è una creatura autonoma, bensì il risultato di un processo di apprendimento basato su dati etichettati e moderati da esseri umani. Questo processo, spesso invisibile agli occhi del pubblico, è fondamentale per garantire che le ia siano accurate, affidabili e rispettose dei valori umani. Senza il contributo dei “lavoratori fantasma“, l’ia generativa non sarebbe in grado di raggiungere il livello di sofisticazione che la caratterizza oggi.
È fondamentale che le aziende tecnologiche riconoscano il valore del lavoro umano e si impegnino a garantire condizioni di lavoro dignitose per tutti coloro che contribuiscono allo sviluppo dell’ia. Questo implica non solo il pagamento di salari equi e la fornitura di tutele sociali adeguate, ma anche la creazione di un ambiente di lavoro sicuro e rispettoso, in cui i lavoratori siano valorizzati per le loro competenze e il loro contributo.
La sfida che ci attende è quella di costruire un futuro in cui l’ia sia uno strumento al servizio dell’umanità, un motore di progresso e prosperità per tutti. Questo obiettivo può essere raggiunto solo se ci impegniamo a garantire che il lavoro umano sia valorizzato e rispettato, anche nell’era dell’intelligenza artificiale.
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Se ti sei appassionato a questo articolo e vuoi approfondire il tema, potresti iniziare a studiare come funziona il “machine learning supervisionato“. In parole semplici, è come insegnare a un bambino a riconoscere un oggetto mostrandogli tanti esempi etichettati: l’ia impara allo stesso modo, grazie ai dati che i “ghost workers” preparano con cura.
Ma c’è di più. Un concetto avanzato che si lega a questo tema è quello dell'”explainable ai (xai)“. Immagina di poter capire perché un’ia prende una certa decisione: questo è ciò che la xai si propone di fare. In un contesto come quello del “ghost work“, la xai potrebbe aiutarci a capire se i dati che stiamo usando per addestrare le ia sono distorti o discriminatori, aprendo la strada a un’ia più equa e trasparente.
Rifletti: il progresso tecnologico non dovrebbe mai avvenire a scapito della dignità umana. Sta a noi, come società, assicurarci che l’ia sia uno strumento di progresso per tutti, e non un motore di sfruttamento per pochi.